Teatro

PALAZZETTO BRU ZANE: OPERA E OPERA COMIQUE

PALAZZETTO BRU ZANE: OPERA E OPERA COMIQUE

Per tutto il Settecento e i primi dell’Ottocento l’opera francese ed i suoi autori restano circoscritti nello stretto ambito nazionale, per non dire solo parigino; e per essere più precisi, più o meno nell’ambito di corte, Gluck compreso. E se si fa iniziare l’origine del teatro lirico francese a metà Seicento dal grande Lully, non bisogna dimenticare che si tratta pur sempre di quel Giambattista Lulli che di nascita – se non di formazione - era italiano, uscito da una scuderia che egemonizzò per due secoli il mondo musicale europeo. Curiosamente,  ancora ai primi dell’Ottocento il maggior nume operistico presente sulle rive della Senna era un altro fiorentino, quel Luigi Cherubini che scorrazzava vittorioso attraverso tutti i generi: dall’opera seria con “Démophon”, “Lodoïska “, “Médée”, “Gli Abenceragi” sino alla commedia con titoli quali “Les deux journées”, “Faniska”, “Ali Baba”. Più o meno, negli stessi anni un passo solo dietro gli stava un altro connazionale, il marchigiano Gaspare Spontini, con i trionfi de “La vestale”, “Fernando Cortez” e “Olimpia”, lavori in pretto Stile Impero apprezzati prima da Napoleone I e poi da Luigi XVIII°.
Bisognò in definitiva  attendere l’exploit di un Meyerbeer, per vedere finalmente sorgere in terra di Francia di una vera scuola di respiro europeo, attraverso l’affermazione di uno spettacolo tipicamente  nazionale: quello del grand-opéra, genere portato in auge alla fine degli Anni Venti grazie al fortunato prototipo de “La muette de Portici” di Daniel Auber. Curiosamente, tutto questa avveniva non per opera di autore francese, bensì ancora per mano d’un berlinese di nascita e di studi che poi aveva conseguito le prime affermazioni in Italia, ovviamente con lavori  di gusto e stile prettamente italiano,  dal “Tancredi” del 1815 sino a  “Il crociato in Egitto” del 1827, che chiudeva trionfalmente sulle scene veneziane il soggiorno del giovane autore nel Bel Paese prima del definitivo trasferimento Oltr’Alpe.
E veniamo al nocciolo della questione: perché una volta arrivato a Parigi, Meyerbeer si dimenticò del suo passato, assimilando in un lampo il gusto francese; perché furono proprio i primi successi ottenuti  nelle sale parigine con due vere pietre miliari del teatro romantico quali furono “Robert le diable” (1831)  e “Le Huguenots” (1836), a segnare la sua definitiva consacrazione quale ‘compositore di cartello’;  ma soprattutto perché, sempre parlando di repertorio francese, questi due titoli furono praticamente i primi ad avere una diffusione pressoché totale in ambito europeo, riscuotendo ovunque un gradimento di proporzioni inaspettate. Di qui la strada per gli autori francesi fu in discesa, perché i successi conseguiti a Parigi – sia che i loro lavori apparissero all’Academie de musique, sia che vedessero la luce nel meno blasonato Théâtre-Lyrique - suscitavano quasi sempre una notevole curiosità, e venivano ben presto ospitati altrove. Un esempio per tutti: basti pensare alla “Carmen” di Bizet, portata a Vienna solo pochi mesi dopo la sua prima parigina, seppur con dialoghi adattati al gusto locale.
E’ questo ricchissimo e fervido ambiente teatrale parigino che voleva essere celebrato con il concerto lirico intitolato appunto «Opèra e Opèra-Comique» inserito nel Festival «Le salon romantique» del Palazzetto Bru Zane, e tenutosi la sera del 6 febbraio – dunque  nel pieno del Carnevale venezian - protagonisti il soprano Chantal Santon e il mezzosoprano Clémentine Margaine, accompagnate alla tastiera dal bravissimo pianista Emmanuel Olivier; serata aperta felicemente con il delizioso duetto «Je n’ai trouvé personne, hélas!», detto anche “Duo de la Mandragore”,  tratto da un’opera poco nota di Léo Delibes, il “Jean de Nivelle” del 1880, il cui lusinghiero esito di pubblico precedette di tre anni l’exploit della più celebre “Lakmé”. Théodore Gouvy (1819-1898) nacque tedesco solo perché la nativa Goffontaine venne assegnata, dopo la caduta di Napoleone, alla Prussia; ma la sua educazione musicale e la sua carriera si svolsero a Parigi, benché ottenesse la naturalizzazione francese solo nel 1851. Autore prevalentemente sinfonico e cameristico, scrisse pure due melodrammi che non lasciarono traccia; discreta fortuna ebbero invece alcune cantate da salotto tra cui “La religieuse” per soprano e piano, dedicata alla famosa Pauline Viardot - la sorella di Maria Malibran - eseguita per noi con molta grazia dal soprano Chantal Santon.  Anche Emmanuel Chabrier scrisse poco per il teatro - tre opere in tutto - e di quel poco in repertorio è rimasto solo “Le roi malgré lui” del 1887, dal quale viene  il delicato Notturno a due voci « Ô rêve èteint, rèveils funèbres», pagina lunare che resta una della meglio riuscite dell’opera.
Anche quello di Victorin Joncières (1839-1903) è nome pressoché sconosciuto in Italia; ma neppure nel suo paese godette di grande fama. A parte la clamorosa accoglienza dell’opera “Dimitri” del 1876,  tutti gli altri suoi lavori per il teatro vennero accolti freddamente, e presto dimenticati come capitò a “Le Chevalier Jean” presentato all’Opèra-Comique nel 1883 dopo essere stata rifiutato dall’Opèra. Da esso giunge l’aria sopranile di Hélène « Ô calme des cieux», ruolo allora sostenuto dalla grande Emma Calvé, che possiede comunque nobiltà di scrittura e fresca ispirazione.
Come è ben noto, Nicola Vaccai scrisse un fortunato “Romeo e Giulietta” il cui finale per soprano e mezzosoprano sostituì per lunghissimo tempo utilizzato quello pensato da Bellini per “I Capuleti e i Montecchi”; una scelta che si deve con ogni probabilità al capriccio di una diva famosa quale Maria Malibran, ma che poi divenne cosa abituale sino alla restaurazione del legittimo operato belliniano. Nel concerto veneziano la pagina di Vaccai, eseguita con grandissima intensità da Chantal Santon e Clémentine Margaine, è stata offerta in quella traduzione francese che testimonia la grande fortuna che incontrò questo ibrido  teatrale per tutto il Secondo Impero.
Non servono invece parole di presentazione per una pagina celeberrima quale «Me voilà seule dans la nuit», vale a dire la cavatina sopranile di Leila da “Les pêcheurs de perles” di George Bizet, né per lo stupendo duetto di Lakmé e Malika «Sous le dôme épais» dalla “Lakmè” di Delibes, pagine eseguitissime nei recitals lirici e rese entrambe con massima grazia. Meno frequente una pagina carica di ammiccante comicità quale «Ah! Que j’aime les militaires» dalla famosa operetta “La Grande-Duchesse de Gèrolstein” di Jacques Offenbach, interpretata con garbo ironico dalla mezzosoprano Clémentine Margaine.
Quale graditissimo bis è stata offerta la sognante Barcarola da “Le Contes d’Hoffmann” sempre di Offenbach, con la quale i tre bravi interpreti francesi hanno preso congedo dal pubblico del Palazzetto Bru Zane, mostratosi generoso di applausi.